Quando I ragazzi del giornale mi hanno prospettato l’idea di intervistare il Davide, ho subito trovato interessante l’idea.
Ho conosciuto la musica del Davide casualmente fra le nevi del Mottolino di Livigno e ho trovato esaltante la profondità di pensiero che esprime nel racconto di molti dei suoi personaggi, epici divertenti o anche pieni di dolcezza, reali o fiabeschi che siano, soprattutto considerando il modo semplice con cui lo fa. Davide ha la rara capacità di usare parole semplici per raccontare o per far riflettere su grandi cose… lascia ai suoi musicisti una grande libertà di espressione, come fossero escursionisti che affrontano la montagna con le proprie personali capacità e la sua musica in fondo può disegnare nel pensiero la complessità di un monte.
Non è questa la montagna? Non è qualcosa di grande e di profondo? Non è un qualcosa capace di severità e di dolcezza,ma sopratutto, da affrontare con la semplicità e il rispetto nel cuore, per poterne avere in premio il meglio che la nostra personale capacità di salirla può farci cogliere?
E il Davide ha viaggiato salendo dalle zanzare agli alpeggi, portando la sua musica, come un instancabile escursionista in cerca del nuovo orizzonte che c’è al di là, dopo la curva del sentiero, come c’è di là, dopo la curva della vita.
In questa intervista ho cercato di viaggiare con lui, dalla sua e nostra Lousiana, attraverso terra, acqua, vento e fuoco, per cercare quale sia la “sua” Montagna Divertente.
E’ una splendida giornata di sole, il lago visto dall’alto sembra un riflesso blu del cielo, accarezzato e coccolato da morbide braccia verdi.
Alcune barche e alcuni battelli solcano l’acqua con un andatura che ha del delicato, come se avessero paura di disturbarne le onde tranquille con la loro scia. Ma sono proprio queste scie a scrivere parole d’affetto, ogni volta e ad ogni viaggio diverse, per questa acqua, specchio gentile della vanità di ciò che la circonda.
Le nuvole bianche sembrano cercare il loro posto in un cielo troppo grande d’azzurro anche per loro. Sono con un’amica, cerchiamo Davide e lui ci guida in una specie di caccia al tesoro fra le vie della contrada Bonzanigo, con la sua voce fra l’allegro e il divertito nel vedere il nostro arrancare sulla via che porta da lui.
Brevi presentazioni e gli faccio vedere il giornale per cui sono venuto da lui. Viene subito colpito dall’articolo sui sanatori di Pratomaso e quelle foto, quelle parole, subito gli scatenano dei ricordi…Il San Martino di Como, una casa di cura per malati mentali, quelle che una volta si chiamavano “manicomi”.
(R.) L’ospedale San Martino di Come è un vecchio ospedale psichiatrico ora chiuso. Il suo più grande momento di attività è andato dal 1850 al 1998, anno in cui è sopraggiunta la legge Basaglia che ne ha decretato la chiusura.
Visitare quel posto gli ha generato un’esperienza che lo ha tanto toccato e chissà, forse è proprio da questa esperienza che è nata una delle sue più belle canzoni, “Manicomi” appunto.
E Davide sull’onda di quei ricordi si mette a raccontare…
Tu pensa quando sei dentro in un posto dove, per terra, fra il rutto e le macerie, trovi dei lacci, di quelli che usavano per… per quelle cose che facevano per curarli, per non farli mordere mentre gli facevano l’elettroshok. E poi… rimangono le memorie di quelle persone trattenute lì, bisognava conservarle, cosa che ha fatto benissimo il Mauro Foglianesi.
(R.) Il poeta Mauro Foglianesi, assieme al fotografo Gin Angri, ha scritto un libro “ Le stagioni del San Martino” riguardante quell’ospedale e quelle persone trattenute in quel ”ergastolo bianco”che oggi per fortuna non esiste più.
Ci sono dei libroni grandi come quel tavolo lì, che tu li apri così… bommm… scritti a pennino, dal 1800 al 1900, con tutta la relazione su questi qui, su queste persone che vivevano lì…
Ma del sanatorio o del manicomio? (chiede la mia amica)
No, no del manicomio…
Prasomaso, per quel che mi hanno raccontato, era un luogo di cura, ma era un paradiso per quei tempi
Siii, parlo del manicomio… le cose con cui venivano stilati quegli elenchi, in qualche modo formali, le definizioni ufficiali erano: dementi, mentecatti, poi si andava in quelle che oggi vengono considerate parole di insulto: scemi, cretini e altro di peggio… poi c’è scritto…c’erano dei quadratini con su scritto, condizioni di igiene pessima, disastrosa, c’erano delle robe strane… e quella era la città dentro la città, perché era imbarazzante averli in casa per quei… signori là, quindi volevano un posto bello e il San martino è bello, nella sua atrocità è bello.
Anche Prasomaso comunque fa molta impressione, perché è un mondo tutto a sé stante, indipendente da tutto, con i forni alimentari, i frigoriferi, la lavanderia, la chiesa, se ben ricordo anche un piccolo cimitero: da quel punto di vista lì veramente impressionante.
Non è facile assumere un atteggiamento formale, quella che stiamo facendo, praticamente, è una chiacchierata in libertà. Davide ti mette assolutamente a tuo agio, si esprime con gesti e pause spesso più significative delle parole stesse, ma viene il momento di cominciare l’intervista vera e propria e lui prova a darci una mano nell’entrare appunto nella parte.
Prego signori…
El pràa de la taca, la casetta del nonu aspis, le ombrosità della grignetta…. Tutti posti che hanno in sé un po’ di mistero senza il quale quei posti non ti avrebbero incontrato, tutti figli di un passato di storie di vita dura in montagna, oggi come ti ritrovi in queste montagne che spesso sembrano diventate un luna park?
Allora… ci sono le mie montagne che sono queste qui, che magari è sufficiente salire per un Km ed è comunque montagna. C’è un punto, cosa che faccio notare anche ai bambini quando li porto, in cui sei ancora collegato alla pianura o al paese. Da un certo punto in poi è come se ci fosse una linea rossa ben precisa oltre la quale diventi parte della montagna stessa.
Può arrivare qualcuno, può passare qualcuno, ma sei entrato nel nuovo regno.
Nel regno di tutte queste cose che lì ci stanno: animali, idee, spiriti, ombre… Quando superi quella linea, non importa se sei in Alta Badia, sulla Marmolada o al Praa della Tàca: sei entrato dentro ad un altro regno e devi stare ai ritmi di quel regno. Le piante sono disposte in modo diverso, gli animali ti parlano in modo diverso, c’è la libertà della natura e quello che tu vedi del tuo mondo lo vedi dall’alto.
Può essere un bene o può essere un male, perché vedi tutto quello che di storto abbiamo combinato, oppure perché vedi quanto bene stai tu che ti sei momentaneamente innalzato.
Perché poi ti chiedi:” Sei capace di tornare giù con la stessa leggerezza con cui sei salito?”
Tu hai parlato di mistero… il mistero non è solo il castello del conte Dracula o del dottor Frankestain, mistero è tutto ciò che non ti è permesso di vedere immediatamente e la montagna è piena di questo.
Mentre tu cammini, dietro ogni roccia, attraverso ogni bosco, oltre ogni radura e ogni precipizio, c’è mistero e mentre tu cammini sai che vieni osservato. Potrebbe esserci una volpe, un cinghiale, un corvo, un’aquila… qualunque cosa feconda di questa montagna che stai frequentando.
Senza questo mistero non ci verrebbe nemmeno la voglia di arrampicare, senza questa sfida… la sfida è quella di salire ok, tutti dicono che la sfida è quella di salire…- e mi va bene perché si fa fatica ad arrivare: è così per la piccola scarpata, è così per la grande vetta-, ma attenzione, perché da un certo punto in poi la grande sfida è quella dello scendere.
Riesco ancora a scendere come prima? Non ho un po’ vergogna adesso che ho visto quassù com’è? Potrei aver avuto una visione, una illuminazione… potrei anche aver avuto pena per un pianeta visto dall’alto dove gli agglomerati urbani, che sono casa nostra, ci si mostrano come delle infezioni che si stanno diffondendo.
La sfida è come tu discendi da questa montagna!
Che dire… nessuno di noi è così scellerato da non accettare di andare una volta ogni tanto. C’è chi ha fumato mille sigarette e fa più fatica di un altro, però appena sali un po’, ti innalzi, ti innalzi dal punto di vista topografico, ti innalzi anche dal punto di vista tuo spirituale, non importa che Spirito o che Dio cerchi… siamo nati da una natura… quando ci ricongiungiamo con essa, nel suo stato puro, è chiaro che ritroviamo almeno in parte quelle cose che ci sfuggivano nella nostra realtà quotidiana..
C’è chi che può avere orrore per i moscerini e gli insetti… Woody Allen spesso scherzando diceva: “Non voglio andare in campagna: ci sono tutte queste cose che volano! Insomma, io sono nato per vivere a New York”. Ci può stare, però ragazzi miei, la montagna rimane un grande richiamo… perché è un tempio non costruito da noi!
Ripensando appunto a Woody Allen che è uomo di città, piuttosto che a Davide Van de Sfroos che è sempre vissuto fra lago e montagna, qui in queste montagne tu hai raccolto un po’ tutte le tue storie, bellissima quella visione che hai dato prima e cioè che non è tanto importante salire quanto lo scendere, perche quando scendi hai diversa coscienza di quel che hai visto dall’alto, se tu fossi vissuto in pianura credi che in qualcosa saresti stato diverso?
Io sono cresciuto in questa scodella fantastica con l’accento sul lago e sul contorno ci sono queste montagne.
Però mi è capitato di frequentare la pianura. La pianura Padana, le vastità del lodigiano… mia moglie è di Guanzate in Brianza e così appartiene a quelle che noi chiamiamo pastic de pianura. Hanno anche loro in Brianza queste… pastiglie di pianure.
Ecco, la grande cosa che mi dà la pianura, il fascino grande della pianura quando arrivo in questi posti, in questi casolari, anche quando vado a Cesenatico( dove ho ereditato una casa da uno zio… mio zio aveva dei poderi) ecco, tutte le volte in cui sono stato anche da bambino in questa pianura la cosa che fortemente mi prende è la lunghezza del tramonto, cosa che qui non c’è, perché dopo un po’ il sole va giù e sparisce presto dietro i monti. Invece in pianura hai dei tramonti lunghi, il mare non ha sponda dall’altra parte e la pianura non ha le montagne, quindi tu hai un tramonto lungo… e così hai questo West, questo deserto, questa prateria. E allora vien da chiedersi:”La prateria di casa nostra, quella che abbiamo dentro, qual è?” Perché se Guccini diceva “fra la via Emilia e il West” un motivo ci sarà stato!
Questa lunghezza di tramonti in un modo o nell’altro mi ha dato tanto e ci ho scritto anche delle cose proprio a proposito, perché è potente poeticamente tutto quello che ti sorprende all’improvviso e allora nel lodigiano, perfino nella zona di Ravenna, di Forlì, nelle paludi o perfino giù a Comacchio, rimani colpito da queste distese dove non c’è niente e dal loro fascino.
Ultimamente te lo ricordi quel film? Mal’aria, dove c’è la leggenda di questa strega della palude, che poi alla fine dei conti è un’altra storia, siamo all’epoca del fascismo, che però è una leggenda che dovrebbe esserci stata veramente e che è comune a tante leggende di varie parti della pianura.
Quel mondo lì di pianura ha un fascino potentissimo. Io ho avuto la possibilità di frequentare Verona per un anno di militare e per un altro anno e mezzo o due frequentando la pianura veronese e quella mantovana, il Po, le zone dove è stato girato il mulino del Po e ho captato anche quegli spiriti e quegli spettri… che non sono meno affascinanti solo perché non sono in montagna.
Casa tua è casa tua, sei abituato a determinate alture e prima o poi le ricerchi, chi è abituato al lago, benché viva su un fiume o sul mare, prima o poi lo ricerca.
La pianura ha un grandissimo fascino, questi tramonti lunghi, questi pioppi, queste zone di fiumi larghi… pensiamo che prima di arrivare alle alpi in Piemonte, quella grande pianura di zanzare, ecco, quella Louisiana è casa nostra.
Diciamo che senza pianura non apprezzeremmo i monti e viceversa
Si ma non perché la pianura è una porcheria, proprio perché ogni diversità crea uno scalino di contrasto.
Davide si alza dal divano, cerca qualcosa…
-Devo guardare perché proprio nel periodo in cui andavo giù fuori… proprio quando dovevo presentare il disco, prima ancora di aver fatto il Forum-
Eccolo con un quaderno nel quale ha scritto alcuni appunti e ne legge uno.
“Viaggio nella pianura”
Vado da un supermercato all’altro, per lavoro incontro la gente che ha comprato il mio cd, qualcuno vuole un autografo, qualcuno una foto, qualcuno solo una stretta di mano. L’aria è di ghiaccio e ferro, il cielo vichingo ha sguainato il freddo su queste distese agricole e su di noi che le percorriamo, lasciandoci però i solchi, strade senza senso e senza allusioni nella campagna tutta di monti sugli orizzonti. Fango e fossati, trattori morti e stoppe ghiacciate -perché era inverno quando ci sono andato, era gennaio-. Le costruzioni emiliane belle, quelle di legno e mattoni stanno crollando e hanno i tetti sfondati, si vedono dimore ma non abitanti, veicoli deformati e arrugginiti e di fianco automobili giapponesi troppo lucide per rimanere li ferme di fianco al monte di letame. Non vedo lavoranti, non vedo il bestiame, solo legioni di corvi nel campo, neri e precisi come il sole dietro i tralicci a colpire negli occhi i passanti dell’autostrada.
-Ci ho scritto talmente delle cose sulla pianura … che della pianura non riesco a farne a meno-. Ancora campi e ancora corvi, il sole sulle loro piume li fa sembrare quasi blù, navicelle spaziali ai bordi delle strade che una volta erano discoteche, alcuni cumuli di sterpaglie mi ricordano copertine di dischi.
Davide ripone il quaderno
La pianura ha si un fascino per me, come il mare che non vedi l’altra sponda, non la vedi più di la del mare, tutto quello che è la diversità è sempre stata un’ attrazione. Da che mondo è mondo, lo scrittore, il ricercatore, il fotografo, ha cercato la diversità, perché vado in ferie sul Gran Kanion? Non posso andare sul Grand Kanion perché voglio vedere il Praa de la Tàca, devo vedere qualcosa che qua non c’è… non posso andare sul mare e pretendere che ci sia un lago, non posso andare in Thailandia e mangiare che ne so, messicano, vado laddove la diversità diventa casa!
Certo, cioè… è bello questo cogliere emozioni che possono essere fortemente legate proprio al posto dove vivi, allora mi viene da pensare, per te cantare Pica o lo sciamano a Bormio, a Como o a Narcao, così, come le vivi tu riferendoti alle emozioni che ti da il posto in cui ti vieni a trovare, ti fa cambiare il modo in cui tu “senti” la canzone?
La canzone dello sciamano è stata scritta integralmente in Italiano prima, perché… doveva essere su un tacquino scritta in Italiano… seduto su una sedia apribile fuori dalla darsena di Cadenabbia… qua! Tutto scritto lì, qualche settimana dopo è diventata la canzone tradotta in dialetto… parte da lì, ma, nel momento in cui attraversi altre terre, vari i rapporti, è come se tu la immergessi dentro la tazza di quelle terre lì, quelle che hai passato, si bagna con quelle terre… e allora cosa succede? E’ come un’adesivo che tu lo appoggi su quelle terre lì, rimane appiccicato e ogni volta che la esegui, per dire, ricordi che stai cantando qualcosa che viene da quel punto lì, dove sei stato prima, ma è come se raccantassi e ti porti con te tutto quello che il posto in cui sei ti manda, ti da. E… anche nei dischi che usciranno adesso con il corriere, la versione dello “Sciamano”, parte con un delirio da nativi americani incredibile, ed eravamo giù nel teatro di Yerago a Varese, che non è proprio un posto della prateria… li per motivi pratici si è aperto un discorso … che anche se poi nella canzone ci sono sbagli di testo, svarioni musicali, eravamo tanto posseduti da quell’inizio che è andato un po’ in vacca tutto il testo, eppure lo abbiamo lasciato proprio così, perché era intoccabile quella canzone. Ecco, una canzone diventa vera quando ti possiede, e quando è finita la canzone ti sembra di aver fatto una parte attuale. Se è soltanto una lezioncina imparata a memoria… e non ti lasci andare… e non c’è il Piu (1) che viene preso dall’assolo e non c’è quell’altro che viene preso da un’altra cosa, non sei tu che vieni preso… vuol dire che hai solo riportato una sorta di cosa, come dire, paradigmatica, cioè hai solo riportato una lezione, un qualcosa.
R. (1) Il Piu è il suo attuale chitarrista.
Io sono quasi contento quando dimentico un po’ il testo ed esco fuori dalla rotaia, perché vuol dire che mi sono perduto un attimo dentro nella canzone. Se no eri troppo concentrato. C’è una poesia di Berthold Brecht che dice: il mio insegnante di guida, quando guidavo mi diceva di accendere un sigaro e mi diceva delle cose apposta e se lasciavo spegnere il sigaro e se non riuscivo a dare risposte giuste, prendeva lui il volante perché non voleva far guidare la macchina a uno troppo concentrato sulla guida, perché, come dire, ho più paura di uno che non è sicuro che di uno che è a suo agio. In un certo senso, non ho mai detto ad un musicista tu fai questo assolo… l’assolo dura tot, posso farlo durare anche il doppio…ma in quel momento lì tu devi essere libero di fare tutto quello che vuoi, sennò comincia la noia e la canzone finisce.
Certo… questa poi è la cosa che fa più belli i tuoi concerti.
Che è poi la stessa cosa che riguarda la montagna, se tu sali e sai già cosa trovi, sali, tocchi la punta e scendi, cosa hai visto? E’ importante che tu sali sulla montagna, ma devi vedere anche cosa trovi per terra, che insetti vedi ,che uccelli vedi…
Indubbiamente quella è la parte più bella dei tuoi concerti, mi viene da pensare a certi artisti celebrati che usano il gobbo elettronico e poi rimangono costretti nei confini che il gobbo elettronico gli da, il bello dei tuoi concerti è che non si sa mai che cosa può accadere.
Non è che il pressapochismo debba diventare un must… però è anche vero che nel momento in cui ti lasci andare ad un rito tribale, perché è di questo che stiamo parlando, con un pubblico, se io sto li a guardare una lavagnetta per essere uguale al disco, mi chiedo cosa stiamo facendo a fare un concerto dal vivo a fare… che sia eseguito bene mi piace, ma la gente avrà il diritto-dovere di vedere qualcosa di pulsante.
Mi viene da pensare una cosa, c’è un posto epico, un posto che per te potrebbe avere… che so… il senso di una scalata epica dove andare a suonare, o perlomeno che ti darebbe modo di esprimerti in un modo che per te sia un po’ sopra le righe, un posto in Valtellina, in Valchiavenna, un posto che viene in mente a te.
Oddio, qualche volta siamo riusciti ad andare a suonare su delle montagne, cosa non facile, siamo riusciti a Livigno, siamo riusciti a Bormio, siamo riusciti in val Cavargna, posti dove l’organizzazione non era facile… sono andato una volta in un posto, siamo andati a suonare in tre in una montagna Svizzera sopra Locarno, per dire… dove l’ opzione era: si va su dalla val Maggia con gli zaini, con dei mezzi di fortuna che non ti dico, l’opzione… per esempio Anga (2) nel ritorno è tornato in elicottero, l’opzione era l’elicottero, questo per dirti! Una comunità sotto un telone e noi su in tre che suonavamo, siamo stati su a cantare e suonare al Pra de la Taca, a volte anche io stesso da solo, una festa e così via…. Sono luoghi che, comunque sia, mentre sei li e suoni ti senti anche un po’ buffo, un po’ assurdo, perché in alcuni momenti ti sembra di essere lì con le tue cianfrusaglie a portare qualcosa che non c’era, mentre il vero concerto, il vero spettacolo, era già lì, presente. Non so fino a che punto arrivando con la tua musica e con le tue cose conquisti quel luogo, in un certo senso quando arrivo su una cima così speciale tendo a sottrarre piuttosto che ad addizionare, preferirei dimenticarmi delle chitarre, qualche volta mettere delle musiche strane dentro, percorrerne altre che rendono il paesaggio ancora più mitico.
Però raramente mi vien voglia di conquistare una cima, suonando, preferisco riportare giù a valle quella cima e portarla nel tempo quella conquista, non è… un salire sulla cima e sono andato via cantando…perché, i concerti sono cose che facciamo noi qui dalle nostre parti…poi se uno è su una montagna solo con una sua chitarra, suonerà qualcosa per sé stesso, quel qualcosa che riesce ad ascoltare in sé e che in quel momento scaturisce e vedrai che poi, lì, ce l’hai un pubblico. L’alpe del Vicerè è stato bello, ci sono dei precedenti storici, ma non è che arrivando li con la tua musica tu conquisti, invadi per un attimo e chiedi in prestito questo palco bellissimo. Però tante volte sali sulla montagna proprio per sentire la montagna e i suoi suoni.
R. (2) Anga è il suo storico violinista e direttore artistico
Esiste per te una montagna divertente, hai un’esperienza di un’escursione o comunque di qualcosa di divertente.?
Una montagna divertente… divertente per me vuol dire qualcosa che ti fa divertire, qualcosa che ti fa ridere o qualcosa che ti fa distrarre, posso parlarti di alcune esperienze fuori dall’Italia, come i castelli delle vertigini, parlavo di una piccola zona fra Francia e Spagna, i castelli dei catari, che sono messi su dei picchi incredibili, ma soprattutto di un luogo in Francia che si chiama Rocamadour .
E’ una chiesa votiva costruita su un picco, si innalza dal centro del paese questa rocca, è come nei telefilm quando si va su dal mago Merlino. Una scalinata che va su per la roccia, io ci sono arrivato su, perché ti dico una montagna divertente? Perché è assurda! Io e mia moglie e un amico siam partiti, abbiamo mangiato, abbiamo fatto scendere prima della gente, ad una certa ora della sera, notte, siamo saliti, scalinata nella notte continua e sconfinata, ci metti una mezz’ora a salirla tutta, quando arrivi su c’è questa chiesa… in cima in cima in cima… noi siamo entrati che era mezzanotte e tutti erano andati via. Il prete ha detto: “vi lascio dire l’ultima preghiera perché poi devo chiudere”. C’erano migliaia di ceri accesi che rendevano un’atmosfera caldissima, ma anche mistica, nessun altra luce, qualcuno di noi si è messo a piangere, qualcuno si è messo a ridere, non capivamo più niente. Ad un certo punto, nel pieno della misticità dopo essere usciti per prendere una boccata d’aria, dopo questa esperienza mistica abbiamo guardato giù dalla rocca
Davide si è alzato dal divano e i suoi gesti ancora di più rendono la misura di come fosse singolare quel momento
ed abbiamo sentito un suono…go go go ale ale ale… era Ricky Martin in concerto piuttosto che in playback giù in fondo alla valle…che stava facendo un concerto, un qualcosa… e questa è la cosa divertente o anche idiota che io posso ricordare legandomi ad un’altura…
Un momento di pausa, beviamo volentieri un bicchiere d’acqua e la nostra chiacchierata diventa sempre più sgasata e divertente, ora Davide è preso ancora di più dal ricordo in quel suo racconto.
Tu arrivi sull’alto di una montagna, sei davvero di fronte alla visione più mistica che puoi trovare in un posto e… e e e ale ale ale… “ma non senti un suono”, diceva il mio amico preso da crisi mistica…e io, si li sento, e poi… un, dos, tres, un pasito pa' lante María un, dos, tres, un pasito pa' lante María… e a quel punto mi sono proprio caduti i coglioni.
Comunque sia però però, però ragazzi… anche su al San primo, la montagna, quando sei in montagna… ti innalzi e vedi da lassù cosa succede.
Avevo scritto altre domande, ma mi hai già un po’ anticipato le risposte, ma vorrei chiederti lo stesso ancora un paio di cose, così mi dici ciò che ti viene in mente.
Hai cantato la montagna dei minatori, dei contadini, dei contrabbandieri, ma se tu ti dovessi identificare con una montagna, in quale ti sembrerebbe di poterti identificare? Montagna intesa anche come zona topografica.
E poi…
Tante volte la montagna ci parla. Quaand che la Grigna la g’ha soe el capèll, i disen che'l fa brött, i disen ch'el fa bell, o anche, Valteléena ciàra e Valteléena scura… l’è una partida a dama coun’t el cieel che fa pagura, a volte la montagna ci parla, ci dice sia il clima che le sensazioni che possiamo ricevere da lei, ma tu alla montagna oggi cosa gli vorresti dire?
Io non sono uno scalatore, non sono uno sciatore… quindi non sono il conquistatore delle vette, sono frequentatore di quegli spiriti bassi, posso salire, posso camminare, sono un viaggiatore della montagna, sono un attraversatore della montagna, mi baso su certi aspetti, mi baso su tante cose che la montagna ti fa cogliere mentre sali.
Alla montagna sicuramente chiederei di proteggerci… bada a noi… a quel che facciamo e non franarci addosso per le nostre colpe, perché comunque sia, ai suoi occhi, a volte possiamo sembrare veramente sventati e pazzi. Gli chiedo comunque di proteggerci.
Riguardo ai minatori, i minatori sono degli scalatori al contrario, anziche salire sulla cima scendono alla base della montagna.
Che montagna vorrei essere? Io non avrei ambizione di essere una montagna poi così alta, non sono la Grigna, non sono così alto e ne così fermo, così solido o così distaccato.
Sono molto più simile al San Primo.
Davide si avvicina alla finestra e parla quasi come se parlasse oltre che a me anche a ciò che vede davanti a sé…
Sono molto più simile ai nuvoloni qui davanti, al Nuvolone qui davanti, (3) una montagna che la vedi da vicino, ma credo che sia anche abbastanza… guarda come è fatta? Non credo che non sia poi molto semplice salirci, ci saranno i sentieri? Comunque è li, è sul lago e guarda giù , si bagna i piedi lì, potrei essere questo monte qui, potrei essere il monte Nava, potrei… ma mi andrebbe benissimo essere uno di questi medi monti, sopra il lago che ho davanti. Il loro riflesso tinge quel corso d’acqua, quando è inverno sono più scuri, quando è estate sono più verdi e comunque sia sono li che sembrano di guardia a qualcosa, e non sono di guardia a persone o cose, sono di guardia probabilmente a tutte quelle emozioni di un epoca, di un mondo che, nel momento in cui qualcuno le dimentica, dimostra che può star male e allora, così’ come c’è il chirurgo e il costruttore di gabinetti, è giusto che ci sia anche, colui che salvaguardia questo mondo con una canzone o con qualcosa scritta, con le emozioni, quelle che sia il chirurgo o il costruttore di gabinetti hanno bisogno ogni tanto di sentir bussare.
(3) R. Nuvolone è il nome del monte che Davide vede dalla finestra e che si erge sopra l’opposta sponda del lago.
A questo punto l’intervista perde quel poco di formale che eravamo riusciti a dargli e torna ad essere quella chiacchierata che era all’inizio.
Bella anche quell’immagine….avrà i sentieri? Cioè, questo lasciarsi al dubbio…
Ora Davide è in piedi e il suo modo di porsi diventa un invito per andare alla finestra e “vedere” le sue parole, oltre che sentirle.
E guardala, guardala…io la guardo da questo lato, la c’è il Ponte del Diavolo, quella casa là è la Villa Lucertola, la strada è quella che arriva da Lezzeno e va a Bellagio, ma, quella montagna li non viene mica facile, io non so se ci sale da li? Se c’è un’altra parte, sarà da un’altra parte! Ma questa parte qui, quando sei sotto è spiovente così, non è una montagna su cui puoi salire… ma dietro li, dal San Primo, se poi c’è un sentiero alto che passa e arriva lì, è un conto, ma il Nuvolone, li com’è!?
E guardando dalla finestra,una nuvola sembra diventare un prolungamento del monte Nuvolone, nuvola e monte diventano la stessa cosa e ascoltando il Davide quasi confondi qual è il monte e quale sia la nuvola. Credo sia normale che possa accadere. Quando ascolti e ti perdi nelle parole di chi guarda la vita con occhio poetico, puoi cogliere nel disegno variabile di un cielo, un qualcosa che vorresti sia normalità, magari è illusione di un attimo, ma in quell’attimo hai appagato la voglia di bellezza che porti dentro.
Io non ho mai visto una cascina sul Nuvolone, la vedi tu? Io no! Vedi case, vedi cose su in cima? Io no, quella è una montagna che è aspra, è li, ma nessuno ci sale…
Lì ci sale il tuo suono (dice la mia amica).
Speriamo!
Ed io sento quanto sia vera questa cosa nella sua semplicità, perché anche la musica che nasce da te è qualcosa di te, come i pensieri, come le gambe, come il cuore, la musica è frutto appunto di un pensiero che parte da te e che cerca di arrivare là, dove tu vuoi farlo arrivare e se non ci fai arrivare prima il pensiero, niente ti crea lo stimolo giusto per salire su quel monte che sta lassù, in cima ai tuoi pensieri!
Si va a ruota libera, ormai c’è spazio anche per qualche battuta divertente…
Va bene, io mi fermo qui
va bene, allora ti apro il letto… già che sei qua!
E la mia amica rincara la dose, chiedendogli di farmi pagare l’affitto per stare davanti ad un simile spettacolo della natura… e si finisce ancora parlando del giornale, già, credo che Davide abbia davvero apprezzato il giornale così come è fatto, per come sappia rivolgersi con chiarezza e semplicità ai lettori.
Le nostre ombre ci accompagnano sulla strada del ritorno, senza di loro non sapremmo più chi siamo, abbiamo lasciato un amico, ma dopo questa chiacchierata ci portiamo via con noi dei pensieri un po’ più arricchiti di un sapere che non viene da un semplice libro letto e digerito, ma da un libro che si è affiancato al libro del sapere e che ha come pagine i giorni della vita e le sue più semplici ricerche di esperienze vissute, così come per un musicista possono essere anche quelle dei suoni più antichi .Il suono di un flauto ricavato da un bambù, o da una conchiglia, o da un qualsiasi strumento primordiale che ci ha voluto mostrare e che ha permesso a Davide di creare qualche sonorità nuova, vicina alla terra... e forse è per questo che allontanandoci mi gira in testa una frase che mi aveva detto poco prima e che più o meno diceva: “Ecco, come i monti della Sassella, quando vai su a visitare le cantine e dopo scendi… dopo che l’hai davvero conosciuta, allora si che a quella montagna, anche tu puoi dirgli… Montagna Mia!”
Prima di risalire in macchina, ho guardato nelle acque il profilo riflesso del monte Nuvolone, credo che oggi si senta un po’ più importante del solito.
venerdì 8 gennaio 2010
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